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Mafia del Brenta

Stregato dai racconti del padre sulla banda di Adriano Toninato, «il Giuliano della Val Padana», Felice Maniero negli anni Ottanta riesce a mettere in piedi un’organizzazione che tra furti a banche e gioiellerie, entra presto nel giro della droga, delle armi e dei sequestri di persona

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CONOSCI

Scheda introduttiva a cura di Antonio Nicaso

È un giro enorme che si arricchisce anche grazie ai proventi estorti ai cambisti del casinò di Venezia, potendo contare anche su rapporti con avvocati e funzionari di banca, esponenti delle istituzioni e dei servizi segreti. È talmente potente Maniero che viene contattato per risolvere anche casi importanti, come il furto del mento di Sant’Antonio, una reliquia particolarmente venerata, e di cinque capolavori trafugati dalla Galleria Estense. Poi, dopo l’ennesimo arresto, decide di collaborare con la giustizia. Il primo luglio del 1994 la Corte d’Assise di Venezia, grazie anche alla testimonianza di Maniero, riesce a condannare una ottantina di persone per associazione a delinquere di stampo mafioso. Nel tempo, quella stessa organizzazione cercherà più volte di ricostituirsi, sfruttando la colpevole sottovalutazione di cui ha sempre goduto il fenomeno mafioso in Veneto. «Già negli anni Ottanta» si legge nella Relazione della Commissione parlamentare antimafia, presieduta dall’on. Rosy Bindi, «il successo della mafia del Brenta, associazione mafiosa autoctona cresciuta con la collaborazione di esponenti di Cosa nostra e della ‘ndrangheta, ha evidenziato l’esistenza in Veneto e nel Nord Est di una vasta area di soggetti disponibili a fare affari con il crimine organizzato e la facilittà nel riciclare profitti illeciti. Nonostante l’efficace azione repressiva dell’autorità giudiziaria, che ha ottenuto condanne significative per associazione di stampo mafioso, il fenomeno è stato ampiamente sottovalutato senza cogliere la gravità dei reati e approfondire la rete di rapporti e connivenze che l’avevano fatto crescere. È indicativo il fatto che, a parte qualche rara eccezione, l’associazione mafiosa guidata da Felice Maniero venga ancora chiamata “mala del Brenta”, “banda Maniero”, “mala del piovese”, senza utilizzare la parola mafia. Negando l’esistenza di un gruppo mafioso autoctono, si è prodotta una rimozione culturale per evitare di indagare a fondo sulle responsabilità dell’area grigia, costituita da professionisti, avvocati, rappresentanti delle istituzioni, operatori di banca, che ha consentito alla mafia del Brenta di commettere gravi reati e di accumulare ingenti ricchezze in larga pare ancora da individuare e sequestrare» 

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Lo spettacolo di Teatro Bresci

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MALABRENTA

DRAMMATURGIA E REGIA

Giorgio Sangati

CON

Giacomo Rossetto​

FOTO DI SCENA

Andrea Securo

​PRODUZIONE

Teatro Bresci

ANNO DI PRODUZIONE

2011

Vincitore del II Premio Miglior Spettacolo al Premio OFF 2011 del Teatro Stabile del Veneto diretto da A. Gassmann

Patrocinio di Avviso Pubblico

Malabrenta racconta la storia di una della più potenti organizzazioni criminali del Nord Italia dal dopoguerra, “la mala del Brenta”. A parte la mente, il carismatico Felice, i protagonisti sono giovani semplici, sfuggiti a un destino in fabbrica, abituati al “tasi sempre”. Semplice è anche il protagonista di “Malabrenta”, tanto da non avere neanche un nome, un gregario, uno di cui non si ricorderà nessuno. Il suo racconto ricostruisce l’intero percorso dell’organizzazione con gli occhi di chi ha segato sbarre, di chi ha sparato in testa, di chi ha maneggiato lingotti d’oro, di chi è finito in carcere e c’è tutt’ora. Malabrenta, sia chiaro, è solo un’ipotesi, una storia inventata, ma inventata a metà: tutti i riferimenti a cose e persone potrebbero non essere casuali. Malabrenta è un tentativo di dare pensieri e corpo ad una vicenda ancora poco chiara che racconta la deriva morale di una regione distante dai riflettori.

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